Poesia, Magia e Sapienza nel mondo antico.

Poesia, magie e sapienza nel mondo antico. Percorso di formazione Febbraio luglio 2025. A Pesaro e su Zoom.

Poesia, esoterismo e conoscenza sacra in india e nel Mediterraneo
Percorso di formazione in sei seminari da febbraio a luglio 2025 a pesaro e su zoom

Il Fuoco e la Parola

Nel pensiero Vedantico, la Verità spirituale, ovvero l’Atman, il Sè, Dio stesso, è autoluminoso, che significa che la sua realtà deve svelarsi autonomamente nel cuore di chi lo invoca.

Tra il Supremo, l’Assoluto, e la manifestazione del mondo o dei mondi, degli esseri e delle creature esiste una relazione non duale: “Tutto questo universo, in verità, è Brahman”. Non duale non implica che l’unità sia palese ai sensi o alla mente ordinaria, anzi, questa realizzazione è proprio il percorso spirituale che si intende come metafisica realizzativa, che è la conoscenza che l’iniziato, lo yogi, il saggio, sono tenuti a perseguire. E’ la Gnosi, Jnana.

Il fenomeno che fa da paradigma a questa contemplazione dell’essere, è la liturgia del Fuoco.

Il Rg Veda si apre con l’inno al Fuoco, Agni, che stabilisce il primato di questa esperienza religiosa come fulcro del percorso spirituale. Lo yoga primitivo si condensa simbolicamente nella primitiva liturgia del fuoco, che assume via via un carattere sempre più interiorizzato.

Nell’india arcaica il Fuoco è il centro della vita religiosa, e con esso il rituale che lo custodiva: la recitazione orale delle formule sacre, o Mantra. Lo stesso sacrificio era stabilito e formulato dalla pronuncia dei Mantra, che ne stabilivano l’identità, il significato, le corrispondenze mistiche e cosmiche. Senza Mantra, non c’è sacrificio. Perché il fuoco da elemento naturale si trasformi in sacrificio, in Sacro, è necessaria la Parola. Il potere che nomina, che conosce, che trasforma qualsiasi esperienza in Consapevolezza.

Si stabilisce una interdipendenza tra Fuoco e Parola per cui il fuoco contiene il germe della parola e la parola, il mantra, la condizione del sacrifico. La Parola Sacra è l’elemento indispensabile perché si compia il sacrifico.

Agni, con cui si aprono gli inni del Rg Veda, è il mediatore tra cielo e terra, chiamato la guida, il veggente, il poeta. E’ detto la forza che edifica il cosmo, che rende gli Dei manifesti. E’ il sacerdote che presiede tutti i sacrifici, il purificatore supremo, il distruttore. E’ l’immortale che vive sulla terra, tra i mortali. Questi sono alcuni tra gli epiteti del Fuoco Sacro nel Rg Veda.

Si osserva che il sacrificio offerto al fuoco ricambia l’offerta con il ritorno dell’abbondanza, e questo, come vedremo, è un pensiero molto meno ingenuo di quello che sembra. Tutto ciò che chiamiamo società, scienza, tecnica e tecnologia, inizia attorno al Fuoco, ispirato da esso, controllato da esso. La contemplazione del Fuoco Sacro è perciò il luogo seminale della contemplazione dell’Atman, l’osservatore, il conoscitore, il regolatore, attorno al quale, senza che egli agisca, le facoltà, i sensi, e i loro oggetti, si compongono e assumono significato, e infine si innalzano nell’offerta a ritornare al Brahman.

Con il Sacrificio si ha l’identificazione e la definizione del ruolo dell’uomo nel cosmo: “L’uomo è sacrificio”, ovvero è il sacerdote, colui che con il sacrificio presiede alle necessità di tutti i viventi e che contempla, perciò le leggi del cosmo, il suo ritmo visibile e invisibile, il conoscitore di ciò che immutabile presiede, ordina e conosce ogni cosa. La vita, la morte e la rinascita.

A compiere questa parabola decisiva per la condizione umana è il potere che permette di governare il fuoco. Prima in forma fisica, con l’accensione, poi in forma liturgica, con il sacrificio. Il Sacrificio, con il suo elaborato rituale, condiviso e partecipato da tutti, che identifica una comunità, caratterizzata e connotata da quel rituale, quei Canti, quei Nomi, quegli Dei, che diventano la sua Lingua Madre, diventa anche il sinonimo di Conoscenza. La conoscenza primitiva è sostanzialmente una conoscenza liturgica, dentro la quale convergono le scienze tutte: per il sacrificio si devono conoscere e ordinare i nomi e le proprietà dei prodotti naturali, spontanei e coltivati, che saranno adatti o non adatti al sacrificio, e degli esseri viventi che beneficeranno in qualche misura della spartizione del risultato del sacrifico, inoltre si creano utensili, tecniche di cottura, tecniche di edificazione e una raffinatezza di astrazione e pensiero che va ben al di là dell’esperienza materiale empirica. E soprattutto si compongono i canti, i Mantra, che servono a santificare la liturgia, a custodirne il significato, e a trasmetterla alle generazioni future. Tutto questo diventa per antonomasia la Conoscenza del Fuoco, che il fuoco ha dettato, diretto e voluto, e che gli uomini hanno appreso officiando il suo servizio con devozione. Ardore, tapasya, diventa la condizione interiore con cui il devoto deve dedicarsi alla sadhana, al servizio e all’apprendimento, l’ardore del fuoco che si osserva trasformare il crudo in cotto, il nocivo in commestibile, il molle in solido, l’incompiuto in compiuto… la Parola in Conoscenza Sacra, il mortale, in Immortale.

Il fuoco ha donato al sacerdote la Parola Sacra, ha svelato il potere che si nasconde dentro la materia. E quel potere è l’ispirazione della parola stessa. Attorno al fuoco sacro di riuniscono i poeti. La prima parola è ascolto interno, ispirazione. Sruti, la rivelazione sacra dei Veda, è parola udita, che i poeti Rsi mettono in versi, cantano, intonano e contemplano. Il potere intrinseco del fuoco ha fatto scaturire l’invisibile, la Parola sacra, che sorge spontanea dall’interno, cantata dal fuoco, dalla potenza interiore che in esso si riflette, si contempla. Così può sollevarsi dalla miseria della condizione affamata e sola, nel cosmo, e contemplare la natura, gli esseri visibili e invisibili che abitano il tutto, coglierli nella loro essenza. Con la poesia, la visione interiore, il consacrato si solleva, viaggia mondi sottili, vede le forze naturali allo stato puro, infine, riconosce che tutto quello che la sua visione ha dispiegato, è la potenza liberatrice: l’inno si riassorbe nell’invisibile.

“Certo non è un caso che le culture nelle quali i riti sacrificali costituiscono il centro del culto abbiano sviluppato una dottrina sistematicamente elaborata del suono. Secondo tale dottrina, la forza creatrice originaria e la sua rinascita quotidiana sono racchiuse nel *grido luminoso* dell’aurora, da cui l’universo ha origine. La sede o cassa armonica di quel suono si trova nella buia cavità della montagna (nel buio, generatore di energia, nella notte), in cui la morte (o un dio) canta o suona al ritmo di un tamburo l’inno della creazione. Questo dio canta o suona, a ritmo del tamburo *se stesso*; perché egli stesso è l’inno. E mentre si canta o si suona, il suo canto, ossia egli stesso, svanisce nel nulla, sacrifica cioè se stesso per trarre un inno dai suoni che subito si spengono. Ogni essere canoro e ogni strumento musicale cultuale è un altare di olocausto.” [Marius Schneider, Il significato della musica]

La Meditazione e la Conoscenza

La mente è fondata sul vuoto, Sunya, la mente è Akasha, spazio, etere, in cui risuona l’onda sonora, la Parola, che esprimerà i contenuti che individueremo come oggetti della coscienza. Nell’interno intrapsichico si può sperimentare una metafisica primordiale, dal Vuoto, Ex- Nihilo, si manifesta la Vibrazione sonora, che come onda si espande producendo lo spazio, e quindi il tempo, quindi il nome e la dimensione delle cose che sono così create. La mente assorta in profonda meditazione ritorna a questo scenario primordiale, l’inizio di tutto, quando vi era solo l’Essere, e l’Essere era senza forma, senza estensione né nome, unicamente dotato di energia propria, la cui potenza si espandeva autonomamente in onda sonora. L’Essere non è dato che nella sua espansione sonora, e questo Suono-Parola è di fatto la Coscienza universale, che penetra e sostanzia tutti gli esseri, che attua la creazione, nelle forma che da essa sono nominate ed espresse, simultaneamente, per differenziarsi percettivamente nello spazio-tempo.

Il poeta primitivo è perciò il veggente dello stato originario, colui che può ritornare allo stato primordiale dell’essere e ascoltare il suono che manifesta le entità primordiali, percepirne il nome e la forma sonori, e con la parola illuminata, ancora guidata dalla visione interiore, esprimere verbalmente ciò che è, evocare la dimensione trascendente, gli archetipi, le leggi universali e la loro manifestazione temporale e atemporale. Il poeta delle origini è perciò mago, yogi e shamano, è l’illuminato, colui che riesce a sciogliere il legame terreno con i limiti della percezione ordinaria, e immerso in meditazione, farsi tutt’uno con il vuoto primordiale, dove risuona la potenza dell’Essere.

Lo yoga è perciò stato, in origine, una disciplina dell’Ascolto interiore, che si unificava nel raccoglimento su un suono sottile, un moto interiore senza intento, spontaneo, che sibila o brilla, o si muove serpentino, ondeggia, produce onde, nell’intimo della mente pacificata, manifestando il misterioso Naad, l’eco incarnato della sillaba primordiale. L’iniziato che accede a questa rivelazione interna si trova dotato della parola illuminata, il Sabad, che ha ascoltato nel cielo interiore della meditazione e che esprime attraverso la sua voce lo stato di coscienza e la percezione che le sono proprie.

Suono e luce sono i due fenomeni sensoriali che vengono percepiti dagli esseri viventi a partire dall’onda inudibile che scaturisce dall’essere prima della manifestazione, quell’onda fatta di luce e perciò creatrice di forme, e quindi di suoni e perciò di nomi, è di fatto la manifestazione cosmica, che avviene simultaneamente e non avviene mai. Tutto l’universo è costituito di nomi e forme, che sono le frequenze percepite, in particolari stati di coscienza, dalle diverse specie di organi percettivi e dalle diverse forma di coscienza, di un unico campo energetico costante e immutabile, che contiene un continuo scaturire o divenire, un eccedere, un movimento circolare di espansione e riassorbimento. L’universo e Dio non sono differenti, sebbene il Supremo non si riconosca in nessuna delle forme manifestate e non si esaurisca nella manifestazione, che invece si riassorbe, come un suono, esaurendo la sua parabola, per riemergere costantemente da una sorta di pulsazione, o vibrazione, che è intrinseca dell’Essere in sé (Shiva e Shakti)… Questa Fonte inesauribile è stata descritta con varie allegorie, è effettivamente la fonte della vita inesauribile e di permanente “giovinezza”, il luogo di tutte le cose passate presenti e future, la creatività inesauribile dell’essere. Tutto questo, come Suono e Luce, è ciò che si produce come esperienza dell’essere manifesto, il cosmo, ed è perciò Coscienza. L’essere è quindi Coscienza, la sua creatività inarrestabile, eterna, è paragonata a un flusso ininterrotto di piacere creativo, orgasmico, radioso, che emana da Esso come il calore dal fuoco, per sua stessa natura, e quindi la terza definizione del Supremo è Beatitudine. Sat (Essere), Cit (Coscienza), Ananda (Beatitudine).

Ma il nome con cui quell’essere è conosciuto è Brahman, quello che si espande (Brh), quello da cui tutto emana, colui che tutto emana. Non è il Dio personale, uno degli Dei di cui si affollano i cieli, che è anch’esso una forma-nome derivata dalla meditazione dell’Uno, in modo da poter essere concepito dalla mente. Brahman è l’Essere ed è lo stato di coscienza proprio dell’Essere, la cui conoscenza è possibile solo a condizione di diventare quello su cui si medita. Poiché non può esserci oggetto che non sia derivato e perciò solo una visione parziale del tutto, ogni esperienza parziale deve riassorbirsi nella sua origine. Brahman è perciò quello su cui si deve meditare e anche tutto il procedimento liturgico, yogico e poetico, cioè il processo conoscitivo, con cui il Brahmana deve essere conosciuto. Questa è la scienza sacra, la Sapienza che viene trasmessa da Guru a discepolo nel corso di millenni, che è in parte trascritta nei libri sacri, ma che si svolge inevitabilmente nel segreto, in una dimensione che permette di liberarsi da ogni attaccamento terreno e dispersione, per realizzarsi solo nel cuore del ricercatore. Il Cuore, per gli antichi è la profondità della mente, non il luogo dei sentimenti, che invece appartengono alla mente ordinaria, il cuore è dove la mente si raccoglie nel silenzio interiore, dove brilla solo la coscienza e dove, nella meditazione di Sè, si può infine accedere alla Conoscenza diretta del Brahman.

Tutto questo accadeva nell’alveo segreto che era proprio dello Yoga o dei Misteri, e quel Mistero, o Enigma, dopo essere stato sperimentato come stato di coscienza, e una volta stabilizzato in consapevolezza del Sé, veniva cantato, esposto, tramandato nei testi sacri, dettati perciò nello stato riservato della conoscenza sacra e quindi trasmesso perché altri ne facessero esperienza diretta.

La conoscenza sacra descritta nei Veda è intesa quindi per essere diretta espressione della realizzazione del Veggente antico (Rishi), parola direttamente “veduta” nel cuore, in risonanza con il Cosmo nella sua origine perenne. Per i Rishi, visione, suono, poesia e canto sono intimamente connessi in una sola dimensione che è Dhyanam, la Meditazione. Così come la Parola rivelata negli inni vedici, è Dhyanam, luce che emana, come il sole, come il canto, al rivelazione di ciò che è nascosto alla vista ordinaria, la sua Parola accende la facoltà interna della visione nell’ascoltatore e gli permette di vedere con il cuore, nel raccoglimento della preghiera, nell’ardore del canto dell’inno, potente come il sole a mezzogiorno, quella luce interiore da cui i versi sono scaturiti.

Allo stesso modo, la conoscenza del Brahman, come descritto nei Veda, è Jnana, conoscenza. Non occorre altro mezzo che la Conoscenza per accedere alla Conoscenza. L’inno, la meditazione del suo enigma, la descrittività e la tecnica sufficiente a enunciarlo correttamente, accendono la Luce, Dhyanam, brillante come milioni di soli, capace di illuminare la mente del poeta, o dell’iniziato, per evocare la Realtà si cui si medita. Ogni inno e ogni espressione metafisica che provengono da questa conoscenza, vogliono essere la possibilità di realizzare l’esperienza di cui parlano.

La poesia dei Veggenti è perciò, non letteratura, nemmeno testo sacro normativo, ma una vera e propria operazione di magia teurgica, capace di portare alla luce della coscienza, la luce che illumina la coscienza stessa, in forma divina, personale, vivente, incarnata nella persona e nella dimensione vivente del conoscitore, evidente da sé, come una mela sul palmo di una mano. Non occorre altro che l’ascolto, una mente pura, libera da pregiudizi e condizionamenti, poiché è la conoscenza stessa, per la sua stessa natura, ad essere ciò di cui si parla, l’esperienza diretta realizzativa che l’iniziato intende ottenere. Non vi è alcuna possibilità per la mente ordinaria, o per la conoscenza mondana di ottenerla, ma altresì non servono altre istruzioni, né per il corpo né per la mente, né alcuna disciplina specifica, la meditazione deve accendersi nella mente come il sole a mezzogiorno, scaturire dall’ascolto, risuonare, innalzarsi apertamente, senza restrizioni, illuminare completamente la mente dell’iniziato.

La conoscenza è semplice, dicono questi filosofi con sorprendente realismo, se indico un vaso posto davanti all’ascoltatore, questi lo vede, e lo riconosce, senza bisogno di alcuna prova aggiuntiva. Tale è l’Essere, quando è stata impartita l’istruzione sacra, che sarà conosciuto come descritto, e veduto così come è stato evocato, senza alcun cambiamento, nessuna dualità. Tutto ciò che ne impedisce la conoscenza è perciò detto semplicemente “ignoranza”, illusione, irrealtà. E tutto quello che l’essere umano deve fare è disporsi con lo yoga, con l’ascolto e con la fiducia, a dissipare l’ignoranza, ascoltando gli inni e le meditazioni che permettono la Conoscenza. Si deve dunque conoscere quel Brahman che i veggenti descrissero nei Veda e nelle Upanishad…

Il Percorso di Formazione 2025 di Satsang: “Poesia, Magia e Sapienza nel mondo antico”.

La mia formazione è fondata nella filosofia non duale, perciò le Scritture Sacre e la dottrina tramandata hanno un ruolo ben preciso di orientamento sul cosa e il come il Dharma deve essere realizzato, ma tutto deve coincidere con la realizzazione interiore e fondarsi sull’esperienza diretta, il rapporto personale con il Guru e la pratica. Non ci sono altri mezzi validi di conoscenza, riguardo alla conoscenza spirituale. Su questa base, ho scelto un filo conduttore, che ci inizia all’esperienza meditativa della Poesia, uno dei fondamenti della conoscenza sacra arcaica, che si fonda sulla Meditazione profonda, sull’ascolto del Sè e il dialogo con l’Assoluto. L’ascolto della Poesia sacra, che investiva il ruolo di istruzione diretta e di veicolo immaginale nella formazione del percorso del sacerdote e dell’iniziato antichi, può richiamare quel risveglio dello Spirito, del discernimento spontaneo, basato sulla verità interiore e la potenza creativa che abita nel proprio silenzio, nel cuore. La meditazione, dicevano gli yogi, è come quando un bambino è assorto nel gioco e non si accorge più di nulla; è come quando si devono sfregare con forza due pezzi di legno per accendere il fuoco, con la concentrazione attenta a cogliere lo scoccare della scintilla; infine, è come quando l’amato e l’amata sono uno nella braccia dell’altro e non esiste più alcuna separazione, niente che accada al di fuori, niente che possa inquinare quella beatitudine…

La Poesia sacra ha il potere di condurre in quello stato di beatitudine, di convocare gli Dei nel cuore del poeta, di suscitare il divino dentro di lui, creativo, traboccante, immortale, colmo di potenza e di luce, di dare voce a chi non l’ha mai avuta, all’Essere che tutto ha veduto senza essere visto, che tutto ha sentito senza essere percepito, che tutto ha ascoltato senza essere udito, il Conoscitore di ogni cosa, la propria condizione onnisciente, autentica, sempre viva, sonante, senza superiori. Il Sabad, la Parola che è Coscienza autoluminosa, illuminante. La fonte interiore della vita inesauribile.

“All’apice del cielo, la Parola [Sabad] emerge in luce. / Lì lo gnostico comprende il Senza Forma.”
“Accogliendo il Sabad, la dualità finisce”.

(Sri Guru Gorakhnath, Gorakh Bani)

In questo percorso ascolteremo, leggeremo e accoglieremo:

  • Gli inni dedicati a Shiva nello Yajur Veda (Sri Rudram) – 23 Febbraio
  • La metafisica della Parola sacra e dei Mantra – 23 Marzo
  • La liturgia del Fuoco nei Brahmana e gli inni alla natura del Rig Veda – 25/27 Aprile
  • Gli Inni Orfici e i Culti Misterici del Mediterraneo – 25 Maggio
    La Poesia mistica ed esoterica dedicata alla Madre Divina negli inni:
  • Soudarya Lahari di Shankaracharya – 22 Giugno
  • Lalitha Sahasranama (i Mille nomi di Lalitha) – 20 Luglio

Per tutte le informazioni, e per conoscere il contenuto specifico dei singoli seminari, che verrà aggiornato durante la durata del percorso, vi invito a collegarvi al sito della scuola: www.satsang.it

Tutti i Seminari si possono frequentare in presenza, a Pesaro, o su Zoom. Tutti i seminari saranno registrati e resteranno disponibili per gli studenti iscritti.

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