Satsang.it

Sangitam

Ogni domenica alle 16.00

domeniche musica e meditazione Pesaro 2024
  • letture e commento dei testi sacri dell’ india
  • canti e inni devozionali della tradizione hindu
  • puja, intonazione dei mantra e meditazione
  • satsang

La Puja è l’offerta devozionale che si rivolge agli Dei, davanti alle loro immagini, come al cospetto degli Dei stessi, in una dimensione fatta di canti e di gesti rituali arcaici. Agli Dei si offre amore e bellezza, restituendo luce alla luce, ciò che essi hanno donato a noi. Acqua, cibo, fiori, incenso, fuoco e soprattutto suoni e canti, mantra, li risvegliano e li chiamano, ma sostanzialmente il devoto porta il suo cuore di fronte a Loro, così che ne contempla la Grazia discendere davanti ai propri occhi…
La ritualità indiana è formulata in modo da suscitare il sacro stupore, primo stadio della meditazione, felice intuizione e salvezza, dicevano gli antichi iniziati, di coloro che avevano “visto” i Misteri. E’ esperienza del suono che risveglia, che scioglie le tensioni, che pacifica la mente, e della luce che riaccende la meraviglia e l’intuizione immediata del Vero. Puja è suscitare l’amore e la benedizione universali.

PUJA È ESPRIMERE NEL PROPRIO PRESENTE QUALCOSA CHE RISUONI DI BELLEZZA E DI SIGNIFICATO. È DECIDERE CHE IL PROPRIO TEMPO SIA SEGNATO E COSTELLATO DI ESPERIENZE SIGNIFICATIVE E POTENTI, CARICHE DI ENERGIA.
MENTRE LA VITA ORDINARIA SCORRE SEMIADDORMENTATA NELLA LEGGE DEL KARMA, OTTUSA, L’ESUBERO DI DONO CHE LA PUJA RAPPRESENTA È L’ESUBERO DELLA GRAZIA, CHE È CONSAPEVOLEZZA.
SI OFFRE AGLI DÈI QUEL SOVRANNUMERO CHE L’AVIDITÀ DEL MONDO NON LASCEREBBE. QUELL’ESUBERO CHE È IL FIORE, IL GERMOGLIO, IL FRUTTO PERFETTO, LA PRIMIZIA, IL PROFUMO, CHE GIÀ SONO, NON VISTI, SU QUESTA TERRA, E CHE NOI STESSI SIAMO. QUEL SOVRABBONDARE DELLA GRAZIA CHE COGLIAMO IN NATURA, CHE COGLIAMO IN NOI STESSI NEL PROFONDO DELLA MEDITAZIONE E, SOTTRATTO CON LA NOSTRA ATTENZIONE DAL DECADERE REIFICATO, COSA TRA LE COSE, INVECE ELEVIAMO ALL’ATTENZIONE DEL DIVINO, COME OFFERTA, COME UNIFICAZIONE.
ALLORA CI VIENE RESTITUITO IN GRAZIA, PERCHÉ PROVIENE DALLA GRAZIA, PRASAD, BENEDIZIONE, FRUTTO, BISCOTTO.
QUEL DONO NUTRE MA NON SI CONSUMA. SI NUTRE CON LA PRATICA, LA CONSAPEVOLEZZA, LA DEVOZIONE, PERCHÉ SI ACCRESCA QUEL SOVRANNUMERO, QUELLA DIFFERENZA DI STATO, QUELLA POTENZA ELEVANTE, QUEL NUTRIMENTO SOTTILE DI LUCE, CI NUTRA NEI GIORNI CHE CI RESTANO, CI ATTENDA INTERO E COMPIUTO, COME PIENEZZA, QUANDO TRASCENDEREMO OGNI SEPARAZIONE.


Le Sacre Scritture (Sastra)
Le scritture sacre rappresentano enigmi, passaggi stretti che mettono in scacco la mente ordinaria. L’enigma ha la funzione di portare la coscienza a superare la dualità e il raziocinio passivo della mente, per aprire “il fiore dell’intuizione”, la coscienza immediata, diretta, luminosa, abissale. Questa sospensione, o epochè, scatenata dall’istruzione spirituale, appende all’osservazione delle cose ultime, finali, del gioco divino, della presenza universale palpitante e reale, che si svela palese “come una mela sul palmo della mano”. Finché la contemplazione si arresta ulteriormente, nella sospensione perfetta, nella pura realizzazione del Sé. 

Il dialogo. Satsang e satsang individuali.

Il dialogo terapeutico è nato originariamente all’ombra dei padiglioni dei templi indiani, dove il sadhu è seduto in contemplazione e viene avvicinato dal pellegrino che è arrivato in visita al tempio, trasportando il suo bagaglio di vita vissuta, di dolore e di speranza. Avvicina il monaco con un cesto di frutta e un’ offerta, e gli chiede permesso di sedersi e parlare.
Nei primi secoli dell’ era cristiana, Clemente Alessandrino in Egitto racconta la vita di un folto gruppo di eremiti del deserto, che sono il primo esempio di monachesimo in occidente, e che si chiamano Terapeuti, dove terapia è inteso nel senso originario di “servizio”.
Lo yogi Aughar (Ogar) è ugualmente inteso come colui o colei la cui vita è dedicata al servizio… Ed è quello che impariamo a fare servendo nella casa del Guru durante il nostro apprendistato, in cui non solo la conoscenza del sacro e delle scritture è testata, ma ogni gesto quotidiano, la cura di sé come della casa, dei suoi ospiti, e di ogni scambio, ogni parola, affinché tutta la personalità sia formata a svolgere un pieno magistero nel servizio, con spirito equanime e compassione amorevole. Con i fratelli, con i visitatori, con i devoti, con gli dèi, che visitano il santo assumendo forme irriconoscibili… Nel cuore di ogni creatura è il Supremo.
“Deposita la tua pena ai piedi di Dio” è detto, “Lui ne avrà cura”. Ma perché si possa davvero esprimere questo abbandono la coscienza deve esprimere l’intenzione quanto essere finalmente consapevole del suo contenuto. Occorre un ascolto attento e uno sguardo che restituisca riconoscimento di sé, verità, semplicità e profonda chiarezza.
A differenza delle forme di terapia moderne, il Satsang non ha un tempo previsto. Incomincia quando il cuore del devoto decide di parlare, e termina quando il colloquio ha sortito una soluzione limpida, accettata e condivisa. Il Satsang deve portare chiarezza, pacificazione, e restituire il punto vitale, pulsante e vivo, che era avvinto nelle ombre della mente. Con quella luce ritrovata, con quella chiarezza, si può riprendere il proprio cammino.
Il Satsang invita certamente anche a proseguire questo lavoro di conoscenza di sé, che ciascuno deciderà a seconda della sua indole.

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