Gayatri Mantra, Chaturmasya Sadhana

Gayatri Mantra, Chaturmasya Sadhana

Aum Bhur Bhuvah Svah
Tat Savitur Varenyam
Bhargo Devasya Dhimahi
Dhiyo Yo Nah Prachodayat
[RgVeda III,62,10]

Aum: il Suono Primordiale, Sabda Brahman, da cui origina l’emanazione del cosmo.
Bhur: il Mondo fisico
Bhuva: il mondo sottile, o mentale
Svaha: il mondo celeste
Tat: Quel Dio, il Pramatman trascendente
Savitur: Il Sole
Varenyam: l’Eccellente
Bhargo: Lo Splendore, la Coscienza
Devasya: La Divinità
Dhimahi: noi meditiamo
DhiYo: L’intelletto, l’intelligenza
Nah: nostra
Prachodayat: illumini, guidi, ispiri.

La traduzione letterale della Gayatri è sempre approssimativa e parziale. Troviamo molte di queste parafrasi sparse nei testi occidentali, che non di rado sottolineano come proprio questo Mantra sia la preghiera universale dell’Induismo, una sorta di “Padre Nostro”. Dovremmo invece osservare il suo andamento ridondante e ritmico che è la sua ragione d’essere: il mantra ha/è il potere fissare la mente sulla meditazione dell’oggetto spirituale, evocarlo e spalancarlo davanti ai nostri occhi, farci entrare in esso in contemplazione, farne esperienza diretta, non concettuale. Non è perciò agevole tradurre la Gayatri, e nemmeno affidabile, poiché è forse la formula più astratta e arcaica dopo lo stesso Om, non una metafora letteraria. La presenza del Sole, come oggetto dell’invocazione, accade nella sua stessa espressione, che ribadisce con ritmo incalzante un innalzarsi progressivo della luminosità meditata dal praticante, che dalla triplicità dei mondi sale attraverso la percezione di Savitur, il Sole, a una presenza irradiante che lo trascende e si rivela nel Nous cosmico, l’intelligenza universale, capace di illuminare la mente del meditatore con la sua effulgenza, che ogni cosa regola e illumina. Quella Coscienza suprema (Bhargo) è origine e natura della mente individuale, ed è per la mente ciò che Brahman è per Atman, così che per sineddoche è di quella unità metafisica che stiamo facendo esperienza o esercizio. Un mantra è perciò esperienza sonora, che avviene per mezzo della voce, espressa nella massima concentrazione – Dhyanam – del canto, che è paragonata nelle Scritture al fuoco sacrificale, e al calore interno dell’ardore ascetico, tutte espressioni equivalenti simbolicamente al Sole che il Mantra sta cantando, per la sua luminosità divina e vivificatrice.
Il Mantra è quindi un sistema chiuso, autosufficiente come ogni assioma metafisico, in cui tutti gli elementi che entrano in gioco con la sua recitazione sono consistenti, non solo nominalmente, ma a livello esperienziale, dalla stessa espressione pratica della meditazione. Dhyanam, la concentrazione richiesta della meditazione, è un termine che designa sia l’esercizio meditativo che la luce solare meridiana, che illumina il cielo completamente. Come il sole illumina il cielo uniformemente, così la mente meditativa si colora della qualità o della divinità meditata, illuminandosi della stessa luce.

Perciò, con umiltà e fatte le premesse appena esposte, una traduzione riduttiva e schematica di questa formula, che non rende giustizia né del ritmo né della potenza, è convenzionalmente quella che segue:

Aum
Il Signore dei tre mondi
quel Sole invochiamo
divino vivificatore
perché illumini la nostra mente

Con il Gayatri Mantra, il Sole è invocato come presenza visibile dell’Atman, del regolatore dei mondi, che al suo comando seguono il proprio corso esattamente: così il Sole guida a seguirlo i pianeti e gli dei, come il Sommo Bene, a cui tutto il cosmo obbedisce come una sola mente e un solo cuore, sincronico. Questo è tradizionalmente il modello dell’Intelligenza suprema, della volontà divina diffusa su tutto, e quindi della conoscenza spirituale, quando l’insieme è dotato di una volontà luminosa, visibile, unitaria. Di questa Intelligenza si chiede al Sole di illuminare le nostre menti, perché come gli dei e le potenze planetarie seguono il sole, seguiamo luminosi la via celeste, senza fine, immortale.

Il canto per eccellenza, della cui visione sono intessuti i Veda e il Dharma, l’essenza stessa del Dharma è Gayatri, detta la “Madre dei Veda”, la preghiera universale, scaturita dalla mente del Ceatore quando i mondi erano esposti per la prima volta davanti a Lui, che li trascendeva…

Perciò questi versi sono rappresentati emanare all’inizio della Creazione dall’intuizione del Creatore, nella Chandogya Upanishad.
“Prajapati meditò sui mondi. Dai mondi su cui aveva meditato nacque il triplice Veda. Egli meditò su di esso, ne uscirono le sillabe sacre bhuh, bhuvah, svah. Egli meditò su di esse: ne uscí il suono Om. Come tante foglie l’una sull’altra, attraversate da una venatura, così tutte le parole sono attraversate dalla sillaba Om. Il suono Om è tutto questo universo – è davvero tutto questo universo.
Gayatri è tutto, tutto ciò che esiste. La parola è Gayatri, la parola è tutto questo esistente che canta (Gaya-ti) e protegge (Traya-te) tutto, tutto ciò che esiste.[…]
Questa Gayatri, con i suoi sei aspetti (gli esseri, la parola, la terra, il corpo, il cuore, il prana ), comprende quattro pada. Ecco ciò che dice un saggio a tale proposito: tale è la sua grandezza; più grande è il Purusha; un suo quarto comprende tutti gli esseri; dei suoi altri tre quarti è fatta nel cielo l’immortalità.
Ed ora, quel lume celeste che splende al di sopra di noi, che brilla di là da tutte le cose, di là dall’universo, nei mondi superiori oltre ai quali non vi è piú nulla, questa luce è, senza dubbio, quella stessa luce che irraggia dentro l’uomo.” (Chandogya Upanishad)

La Brhadaranyaka Upanishad offre una spiegazione simbolica della Gàyatrì, soffermandosi sulla sua metrica, composta di tre piedi di otto sillabe ciascuno: il primo piede è dato dai tre mondi: la terra, i cieli e il firmamento, o piuttosto la parte in mezzo; il secondo piede è composto dalla triplice conoscenza, cioè la saggezza dei tre Veda, il terzo piede è composto dalle tre forze vitali (pràna, apàna, vyàna, che insieme compongono otto sillabe). Tutto questo è detto al fine di introdurre il quarto piede, che è reso visibile precisamente entro e attraverso la Gàyatri, Savitr, il sole «al di sopra dei cieli oscuri» [in Raymon Pannikar, Matramanjari].

Inoltre, “La Gàyatri, in verità, è questo intero universo, tutto ciò che è venuto in essere. E la Parola, in verità, è la Gàyatri, poiché la Parola canta e protegge questo intero universo che è venuto in essere” Chandogya Up 111,12,1.

In Maitry Upanisad (VI,7) ritroviamo l’intuizione del profondo legame tra la conoscenza dell’Assoluto e Gàyatri, che si svela verso per verso:
“Quel glorioso splendore di Savitr: il Sole nei cieli è sicuramente Savitr. Egli è colui che deve essere cercato da chi è alla ricerca del Sé. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di Brahman per noi.
Meditiamo sul divino Vivificatore: Savitr sicuramente è Dio. Perciò meditiamo su quello che è chiamato il suo splendore. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di Brahman per noi.
Possa Egli illuminare le nostre menti: Mente sicuramente è intelligenza. Possa Egli insufflarla in noi. Così affermano coloro che svelano la conoscenza di Brahman per noi.”

La stessa Upanisad (VI,34) paragona il canto della Gayatri a un Cigno che dimora nel cuore del sole, e se il Cigno è Hamsa, l’io che abita nel cuore di ogni vivente, allora Gayatri è l’ “io sono” del Sole stesso, il suono del suo respiro.
“II Cigno, l’aureo uccello che dimora sia nel cuore che nel Sole, l’uccello-tuffatore di gloriosa luce, a lui sacrifichiamo in questo fuoco”.

La recitazione e la pratica quotidiana

Sandhya Vandanam letteralmente significa “Lode alla divinità dell’alba e del tramonto” , o preghiere da recitare all’alba e al tramonto. Il momento poco prima dell’alba e appena dopo il crepuscolo, come il momento esatto del mezzogiorno, è considerato estremamente adatto per la meditazione. Tutti i bramini dopo l’Upanayanam (iniziazione all’età di sette anni), sono tenuti a recitare queste preghiere con competenza. Essenzialmente queste preghiere consistono nell’offerta di oblazioni ai Deva (arghya pradanam), esercizi di respirazione (pranayamam) e poi la meditazione della Gayatri. Questo Mantra è insegnato a ogni ragazzo di casta sacerdotale da suo padre, durante la cerimonia del brahmopadesam, il conferimento del cordone sacro che ne farà un bramano. Dopo aver appreso la Gayatri il ragazzo è iniziato, ovvero ha ottenuto una seconda nascita e ha diritto di essere chiamato “Dwija”.

Le Scritture attribuiscono molta importanza al Sandhya Vandanam, e prescrivono che uno Dwija debba compierlo ogni giorno. Dicono anche che il bramino esperto che saluta il dio Sole per tre volte ogni giorno ottenga tutto quello che vuole. Inoltre dicono che uno che non compie il sandhya vandanam è un peccatore e non può beneficiare di alcuno dei riti vedici.

Inizialmente riservato a questi pochi eletti, Gayatri è stato riportato alla possibilità di essere conosciuto, studiato e recitato da tutti i devoti, come si crede fosse all’origine, dall’opera di iniziazione e di rinascita culturale che è stata svolta da alcuni grandi maestri indiani del ‘900, come Ramakrishna, Anandamayi Ma e Vivekananda.

La Legge di Manu prescrive il modello di ogni cosa nel mondo indiano arcaico, ogni gesto e istituzione umana deve seguire un archetipo metafisico, rituale, dall’igiene quotidiana al governo delle nazioni. Tra le idee più salienti di questo compendio del mondo, che influenzerà indirettamente anche l’occidente, è esemplare per importanza e centralità l’educazione dei fanciulli, che nasce quindi come ideale aristocratico e spirituale. Le altre istituzioni che possono reggere il confronto con questa attenzione privilegiata riservata ai bambini, sono il matrimonio, la memoria degli antenati, e la rinuncia al mondo. Ma l’alba della vita, l’infanzia, prende per sé il più cruciale dei versi vedici, la Gayatri, che segna l’ingresso nel ruolo sacerdotale e nel mondo terreno, così come la promessa di quello ulteriore e la disciplina esemplare con cui realizzare ogni obiettivo, mondano o ascetico. E’ l’elemento igneo di innesco della vita religiosa e civile, della vita nella famiglia, dell’ascesi e della immortalità ultraterrena, perciò è la benedizione che ciascuno deve alla propria anima e alla propria stirpe, a partire dall’età in cui può cominciare a dedicarsi a disciplinare se stesso, come creatura dotata di intelletto. Manu descrive la grandezza della Gayatri proprio nel capitolo che dedica all’educazione e alla vita dello studente.

Scrive Manu: “Prajapati estrasse dai tre Veda i fonemi A-U-M, come anche la Terra (Bhuh), lo spazio intermedio (Bhuvas) e il cielo (Svar).
Sempre dai tre Veda, Prajapati, colui che è all’origine, munse piede dopo piede i versi del Savitri che iniziano con ‘Quella [Superiorità di Savitr, il Sole…]
Mormorando ai due crepuscoli (Sandhya) questa sillaba e questo verso preceduto dalle invocazioni, il Brahmana che conosce il Veda ottiene il merito della recitazione del Veda. […]
Le tre invocazioni, inesauribili, precedute dall’Om e la Savitri dai tre piedi devono essere riconosciute come la bocca dei tre Veda,
Colui che mai stanco recita questo verso giorno dopo giorno per tre anni, raggiunge, divenuto vento e assunta la forma incorporea, il Brahman Supremo.
Il Brahman Supremo è la sillaba Om. La suprema pratica dell’ardore (tapas) è il controllo del respiro. Nulla è più alto della Savitri. La Verità supera il Silenzio.” [Manu Smrti 2.76 – 2.83]

L’idea che nei Veda sia contenuto il senso e il significato del cosmo è antica, e stabilita dall’origine stessa attribuita a questi versi. In un certo senso, l’elemento cosmologico è il criterio di una tradizione che si vuole “naturale”, ovvero fondata “sulla realtà” perenne (Sanathana Dharma) e quindi da se stessa. E’ la realtà ad esprimersi attraverso i versi vedici – al contrario delle religioni rivelate che si definiscono in contrapposizione e a superamento della natura e del naturale. Si tramanda che i Veda siano stati “ascoltati” in origine da sette Rishi, o veggenti, che nel profondo della meditazione, in perfetto ascolto del silenzio e suono spontaneo, percepirono distintamente che l’universo stava salmodiando dei versi, per sua natura: la realtà era costituita da un canto poetico.

I versi come la Gayatri sono perciò costitutivi della realtà, di cui rappresentano l’orientamento naturale, la dinamica che mantiene il cosmo coerente e intellegibile, la Parola (che) canta e protegge questo intero universo che è venuto in essere. Cantandolo lo forma, e lo protegge dal disperdersi nell’indefinito. Perciò la Parola è Madre (Vac), la prima madre di tutto.

Oggetto (e soggetto) dell’ispirazione poetica cosmica è il suo principio, l’Essere supremo, il cuore ardente di tutto, che è identificato con il Sole. Il Sole governa naturalmente le attività dei tre mondi, cioè di tutti gli esseri viventi che obbediscono al ritmo circadiano, e il sole regola il destino delle creature, comandando l’ordine dei pianeti e delle stelle. E queste sue attività fanno del sole l’immagine più evidente di Dio, signore del mondo diurno e razionale, come delle plaghe ignote del destino. L’immagine di Shiva, Rudra, nel celebre inno Namakam è proprio identificato con il Sole.
“Il Sole che è rosso-rame quando sorge e poi giallo-oro, che è benefico e munifico di doni, è il Signore Rudra. (…)
Colui che ha il collo blu, che si osserva sorgere all’alba nella forma del Sole, che è veduto anche dagli uomini che portano al pascolo le vacche, e dalle donne che trasportano l’acqua dal fiume, e persino da tutti gli animali. Egli, che da tutti è veduto, ci accordi la felicità.” (Yajur-Veda XVI, Sri Rudram Namakam)

Scrive Swami Tattvavidananda Saraswati:
“L’Essere Cosmico (Isvara), che ha emanato questo universo, è spesso chiamato nella letteratura vedica col nome di Hiranyagarbha, per via dell’Universale Potere dell’Onniscenza. Nella letteratura puranica Isvara è chiamato Vishnu o Shiva. Hiranyagarbha è adorato sull’altare del Sole, poichè nel sistema solare il Sole è la sorgente di tutta l’energia, tutte le attività e tutta la vita. Quell’Isvara che si manifesta dinnanzi a noi nella forma del Sole, è presente anche dentro di noi come Atman, la Coscienza che illumina i nostri pensieri e rende possibile la conoscenza variegata. Se la Coscineza non fosse manifesta, non avremmo alcuna facoltà di pensiero. Il potere di pensare (dhi sakti) è la base dell’esistenza umana. L’essere umano dato dalle sue idee e dal suo intelletto (buddhi). Noi pensiamo che la buddhi si trovi all’interno del corpo, ma sbagliamo. Il corpo si trova nella buddhi e la buddhi si trova nell’Atman, la Consapevolezza, il Para Brahman. Questa Coscienza (caitanya) che manifesta il complesso fisico-psichico nella forma della consapevolezza e ispira le buddhivrtti [attività dell’intelletto] è anche visibile davanti a noi come orbita solare, dimora di Hiranyagarbha. Questo è il significato del Gayatri Mantra in breve.
Nello Rudradhyaya (1-7), Shiva è chiamato Nilakantha (dal collo blu). Shiva ha il collo blu e il resto del corpo rosso. Questo è il Signore che si innalza davanti a noi nella forma del Sole. Una storia popolare dei Purana racconta che quando l’oceano di latte era agitato dagli dei e dai demoni, inizialmente ne emerse un veleno potentissimo. Su loro richiesta, Shiva inghiottì e trattenne nella gola il veleno senza inghiottirlo, prendendo così il colore blu della gola. Ma non possiamo usare la narrazione dei Purana per spiegare il testo Vedico, poichè il Purana discende dai Veda, e non il contrario. La parola Nilakantha può essere letta in maniera diversa, guardando la Persona Cosmica. Le parole nila e lohita si riferiscono rispettivamente ai colori blu e rosso del cielo. Shiva è l’Essere Cosmico, Hiranyagarbha, e il sole è l’Adhibhuta (il piano fisico o grossolano) o l’Adhidaiva (che pertiene alla divinità) simbolo di Dio. Il mantra decrive il Sole che sorge. Durante l’alba e il tramonto l’orizzonte appare rosso con delle zone di blu. Questo orizzonte è visualizzato come il collo dell’Essere Cosmico.
Normalmente si ritiene che Isvara sia conosciuto direttamente solo da un numero ristretto di persone chiamate rishi. Le persone comuni si suppone non abbiano la visione diretta (saksatkara) di Isvara. Ma i Veda affermano il contrario: (Rudradhyaya Taittirya Samhita, 4-5-1) ‘Anche i guardiani delle vacche e le donne che trasportano l’acqua vedono Dio nella forma del Sole. In realtà tutti gli esseri viventi lo vedono. Anche noi lo vediamo. Che ci protegga’. I guardiani delle vacche e le donne che trasportano l’acqua rappresentano le masse illetterate delle campagne. Anche loro vedono Isvara. Ma non solo, gli uccelli e tutte le creature e tutti gli animali conoscono l’arrivo del visvabandhu, il protettore dell’intero universo.”

Così dice lo Shiva Purana del japa mattutino della Gayatri:
“Mentre si praticherà la recitazione del mantra (Pranava), si realizzi la perfetta identità con il Brahman supremo. Il pieno significato del Gayatri deve realizzarsi mentalmente, mentre si recita il Japa. ‘Noi rivolgiamo la nostra preghiera a Brahma il creatore, a Vishnu (Achyunta) il sostentamento, e a Rudra il distruttore. Meditiamo sull’astro del Sé che ci spinge all’azione virtuosa e alla saggezza, concedendo piacere e salvezza; l’astro del Sè che è la forza che ci guida, al di là degli organi di senso, della mente, dell’intelletto, dell’azione e della volizione’ Il devoto che medita su questo significato costantemente ottiene il Brahman. Coloro che sono incapaci di meditare su questo significato devono almeno continuare la recitazione del mantra.”

I periodi del giorno e dell’anno

La routine giornaliera delle preghiere è dunque fissata dal corso del sole stesso a cui, allegoricamente, si rivolgono, all’alba e al tramonto. L’anno è l’estensione del giorno, un lungo giorno, per così dire, segnato dai passaggi del sole ai due Solstizi, che si possono vedere corrispondere al mezzogiorno e alla mezzanotte; e dai due Equinozi che segnano l’alba e il tramonto del ciclo solare annuale.
Se Sadhana indica tutto il percorso, Sandya indica il tempo quotidiano, l’unità di tempo e di esercizio che ogni hindu deve dedicare alla pratica del Gayatri Mantra. Gayatri è il nucleo del Sandya. Sandya indica l’esercizio quotidiano, quindi, ma anche il momento in cui va effettuato: ci sono 4 Sandya nella giornata in corrispondenza delle quattro fasi del sole: alba, mezzogiorno, tramonto mezzanotte. Un giorno è un anno in miniatura, segnato dai quattro punti dell’elittica del sole. Questi quattro momenti, detti Soglie (in corrispondenza quindi con i solstizi), sono i tempi dedicati alla pratica della Sadhana.

Se quello che avvicina all’intelligenza divina è un movimento regolare, armonico e ripetuto, come quello igneo degli astri, così credevano gli antichi, si comprende come questa idea abbia informato il concetto indiano di Sadhana. Sadhana è l’esercizio quotidiano di una determinata pratica religiosa o ascetica, la cui regolarità garantisce quello sforzo necessario a sviluppare il calore “solare” del Dhyanam, della visione-meditazione, ovvero l’ardore sacro. Rendersi simili agli astri, bruciando lentamente e costantemente di un ardore controllato e visibile, è come dire rendersi simili agli Dei. Nel linguaggio della Gayatri, è avere illuminato la propria mente di una delle caratteristiche fondamentali del Sole divino. Questo ardore si dice bruci i residui karmici, lentamente, nel rispetto della vita e della salute del praticante e dei suoi tempi di maturazione.
Con lo stesso rispetto e spirito di osservazione naturale si dispongono anche i periodi dell’anno propizi per approfondire il percorso spirituale, i periodi delle feste religiose, e i periodi che la natura invece chiede riposo e quiete.

Guru Purnima e Chaturmasya

A breve distanza dal Solstizio estivo, il calendario lunare indiano colloca Guru Purnima, il plenilunio del mese di Ashada, che solitamente corrisponde al plenilunio di Luglio. Questo è il giorno in cui si ricordano e si celebrano gli antenati del lignaggio spirituale, i Guru e i Guru dei Guru, coloro che hanno insegnato da Maestro a Discepolo (Guru-Shishya Parampara) la conoscenza del Brahman e delle discipline dello yoga. E’ la Luna colma del nettare più prezioso, del seme dell’immortalità, non a caso questo plenilunio assume un significato così sacro, è con questa Luna infatti che in India inizia il periodo più fecondo, quello delle piogge.
Chaturmasya, che significa letteralmente quattro mesi, è il periodo che prende avvio da questo plenilunio, per abbracciare il tempo dei monsoni, fino alla stagione delle grandi celebrazioni religiose autunnali, dedicate alla Madre Divina.
Secondo l’usanza vedica, però, il periodo si può calcolare come formato da quattro quindicine, ciascuna equivalente a un mese, come un periodo di tempo “aumentato”. Questo periodo di piogge molto intense è utilizzato dai rinuncianti e dagli asceti per ritirarsi in un luogo fisso e meditare, o istruire i propri discepoli. Questa usanza si chiama Chaturmasya Vrata, e consente di rimanere fissi, senza spostarsi, nello stesso luogo, fino al termine del periodo di voto. Una motivazione poetica e autenticamente mistica, che rende giustizia del profondo legame della spiritualità con la natura, è che nel periodo delle piogge escono allo scoperto e schiudono le uova molti piccoli animali che normalmente restano nascosti nel terreno o nelle tane. Camminando, questi animali potrebbero essere calpestati, e dunque per rispettare il voto di Ahimsa, non violenza, che gli asceti scelgono di restare fermi in un solo luogo di eremitaggio, meditando e approfondendo le dottrine spirituali insieme ai discepoli.
Per tutti i devoti del Dharma, Chaturmas è la parte dell’anno riservata a recuperare e rafforzare le pratiche devozionali e l’esercizio delle osservanze religiose o spirituali. I devoti possono scegliere una qualche forma di voto, di silenzio o di astenersi da un cibo particolare, oppure di consumare solo un singolo pasto al giorno, specialmente nel mese di Shravan, dedicato a Shiva, che solitamente corrisponde ad Agosto ed è spesso il periodo prescelto per il digiuno del lunedì. La vita ordinaria, compresa quella dei monaci, quindi, si sospende, per dare luogo a un periodo sacro, in cui la natura prende il sopravvento (quale idea di natura pura e spirituale, però, rispetto a quella dualista occidentale!) nella forma della pioggia e delle lente trasformazioni che deve operare segretamente tra gli esseri più piccoli della terra, affinché il suo corso sia propizio e abbondante.

Nel periodo delle piogge, si crede che il Signore Vishnu si addormenti, a partire dall’undicesimo giorno di Ashadh, chiamato Devashayani Ekadashi. Si ritiene che si risveglierà l’undicesimo di Kartik, quindi chiamato Prabodhini Ekadashi. Si ritiene che dei e dee riposino in questo periodo e non che non si debbano disturbare con feste, matrimoni, ecc. E’ invece un momento adatto per l’ascolto di discorsi sul dharma, per la meditazione e vrata (voti o autocontrollo). Recitazione di mantra, offerte di sacrifici e bagni in fiumi sacri, così come la carità e le purificazioni, sono attività che meglio si conciliano col suono della pioggia e la pressione atmosferica estiva.

La sosta di Chaturmasya perciò investe gli uomini e gli dei, e con essi gli dei-in-terra, i rinuncianti e gli yogi. E’ la contemplazione del nettare che discende sul mondo, della benedizione, della pioggia carica di Prana odoroso che si riversa sulla terra assetata, energia fertile che chiama all’ascolto e al raccoglimento contemplativo. Perché lo stesso fresco vigore possa fluire nel nostro essere, poiché non l’abbiamo consumato ciecamente, ma ne abbiamo fatto contemplazione, immagine del Sole mistico, e discesa copiosa di Grazia, immagine del nettare che discende nella perfezione dello Yoga.

Per tutto questo, e per la certezza che il momento storico richieda in modo particolare di ritornare a questo ritmo e alla profonda contemplazione della Natura, nei suoi molteplici livelli, e della sua Unità, presente all’attenzione dell’ascoltatore immobile, che decidiamo di incominciare con la prima domenica di Chaturmasya una Sadhana dedicata alla recitazione del Gayatri Mantra.

Programma Chaturmasya Sadhana, Gayatri Mantra

Sabato 16 Luglio 2022 alle ore 16.00 introdurremo il Gayatri Mantra in un breve seminario pomeridiano.
A partire da Domenica 17 Luglio, alle 10.00 del mattino, incominceremo il percorso di meditazione del Gayatri mantra. L’incontro prevede: Puja, Pranayama, 108 Mantra, per una durata di circa 90 minuti. Come inteso dalla tradizione, invocheremo prima la benevolenza degli Dei, quindi lavoreremo sul respiro, sull’intonazione del Mantra e sulla coordinazione tra mantra e respiro, in modo da sostenere la meditazione nel modo più limpido e armonico. Sarà un lavoro impegnativo e profondo, per cui è richiesta un’iscrizione, a impegno reciproco dei partecipanti. Tutto il programma si svolgerà online, su Skype.
Il programma domenicale proseguirà per 11 appuntamenti, fino al 25 settembre. Ne usciremo luminosi, splendenti! Adesh!

Per tutte le informazioni: Beatrice.Udainath@gmail.com oppure su Messanger: Beatrice Udai Nath.

On the path of sadhana, of satsang, you gain Atma Shakti, Atma Prakasha. You gain introduction to your real self. You tread on the path to Self-realization. The effort should not be stopped. Keep continuing. Become a pilgrim to openness, to awakening. Keep on continuing. It will happen. Let there be coming and going. The Thing will be done.” Anandamayi Ma


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