Navaratri. Il Sacro Femminile e la Conoscenza di Sé.

L’effetto di vivere una società devota al consumo, al potere e al denaro ci abitua a vivere una radicale dissociazione dal logos materno e creativo, dal sentimento del divino in chiave femminile, della potenza generatrice. La stessa definizione di femminile è ambigua, abitata da una sedimentazione di percezioni letterarie svalutative e da oggettificazioni mondane, colorate a diventare via via la migliore e più popolare definizione del desiderabile, e perciò della frustrazione e dell’attaccamento, e infine della condanna. L’immagine è offuscata dalla prepotenza sessuale e dalla mancanza, dalla violenza e da una perenne scarsità, cioè da una radicata e tossica dualità. Il rapporto con il logos materno è tossico perché è stato relegato al desiderio oggettuale, primitivo, infantile, di essere Altro. L’oggetto che è massimamente desiderabile e che dovrebbe risolverci, si astiene, ci viene sottratto, si nega. La dualità è una dolorosa illusione. La maggior parte delle persone che oggi si approcciano a una relazione con l’archetipo divino femminile adotterà o una chiave di esaltazione sessuale oppure, e le due cose non si escludono (ma anzi si chiamano vicendevolmente), si troverà a combattere un mondo oscuro di dolore e di deprivazione, che abita un livello profondo e che le facili espressioni dell’attrazione, dell’oggetto e del desiderio non possono guarire, ma soltanto rendere acuto e più lacerante.
Questa è la dissociazione fondamentale di cui parlavo. La nostra produzione di oggetti, la fame di gratificazioni e di compensazione, contro la nostra deprivazione di relazioni e di espressioni autentiche di sé, ci dispone a incontrare la potenza stessa come espressione di frustrazione e di lacerazione, come accadeva ai demoni delle storie dei Purana. Quei demoni sono le attitudini che abbiamo coltivato al nostro interno, che desiderano, vogliono, pretendono, che sono intransigenti, spietati, corrotti. Con queste disposizioni il cuore si sgretola in un dolore inesprimibile, perché inaccettabile, e ci costringe alla paralisi, al congelamento della creatività e della parola, che è invece la chiave della risoluzione della vicenda interrotta del desiderio. Il desiderio deve farsi coscienza, risolvere con grazia l’oggetto dell’attaccamento e riconoscersi invece nella potenza generatrice, la Parola, che dai Purana fino alla tradizione dei mistici, è la poesia, la parola balsamica, risanatrice, la chiarificazione e la creazione del nuovo, del sempre presente, della beatitudine della coscienza. La Parola è simbolo ed epitome della creatività, non è solo la parola che si esprime con la voce, è l’intuizione, l’ideazione, è il sentimento, è il desiderio vitale che è sepolto dentro di noi, a un livello inaccessibile alla soddisfazione oggettuale: è pura espressione di sé, la potenza senza oggetto, da cui ogni desiderio si manifesta, e ogni oggetto proviene a soddisfare oppure reprimere quel primo anelito a Sé.
Adorare la Madre divina è discendere all’interno, nel profondo, prima dei meccanismi di significazione, a ritrovare la Sorgente del desiderio, come pura espressione e gioia. Ritrovarsi “figli”, come l’espressione del materno implica, è ritrovare l’innocenza originaria, non corrotta dagli oggetti di compensazione-consunzione, incontrare in vivo il sentimento che ci anima come esseri viventi, indomito, indipendente, quello che si esprime da sé, spontaneamente (sahaja).
Mi chiesero dei pellegrini a Kamakhya (santuario della Madre in Assam): perché dalla lontana Italia sei arrivata fin qui? Perché chi non è nato Hindu vuole rendere omaggio alla Dea di Kamakya? Perché ogni essere vivente, risposi, dovunque sia nato, la prima parola che pronuncia è ”MAA!”.
Ed è anche l’ultima. MAA gridavano i capretti che erano sacrificati nel santuario, mentre gli altri guardavano, miti, in attesa del loro turno, a volte rispondendo mestamente “Maa”. MAA è la vita che grida se stessa, davanti alla nascita come davanti alla morte. Non è Nessuno, è la Voce di tutti e ciascuno… La sua primitiva nuda innocenza, il grido a invocare una accettazione compassionevole e sensibile di sé, che però deve farsi spazio in noi stessi, dal nostro ascolto della Voce che grida nel profondo, fede, angoscia, paura, gioia, e illuminazione…

Ogni parola e forma è espressione del Materno divino, ogni Mantra, a prescindere dalla divinità a cui è dedicato, è formato dalle sillabe che sono corpo della Madre Divina. Questo è il suo potere di evocazione, essere fatto della sostanza espressiva dell’essere, la sua Voce, la Coscienza che si muove rispondendo al Suono, alla Presenza che si fa nome e forma…
Coscienza e Suono sono la diade Shiva e Shakti: l’uno è riconosciuto nell’altra, e l’altra nell’uno. Non si dà cosa al di fuori dell’Unità. Chi realizza la Madre conosce il Padre, e viceversa. Tutta l’esperienza di sé si situa nella dinamica di queste polarità, che niente ha a che vedere con il genere e la sessualità convenzionali. Sono piuttosto come Onda e Particella, gli elementi sottili della materia e dell’energia. Lo stesso Parasamvit, lo Stesso Shiva, che è privo di relazioni e assoluto, è conosciuto nella veglia per mezzo delle scritture e dei riti, come la sua Shakti; e la stessa Madre, che è la creazione di ogni forma e movimento, è percepita nel Samadhi con la beatitudine, la coscienza pura, che è Shiva. Soltanto chi è Shiva conoscerà la Madre, soltanto chi ha conosciuto la Madre, realizzerà Shiva. Perciò è detto che soltanto un Dio può onorare un Dio. Soltanto lo yogi che ha controllato tutti i suoi desideri e la sua mente, incontrerà la pienezza della Beatitudine come Madre, e solo chi ha vissuto la pienezza del Nettare della Beatitudine immortale è Shiva.

Quando dunque ci avvicineremo ai Misteri autunnali di Navaratri, dobbiamo pensarci in una dimensione rivolta all’ascolto, non alla richiesta. Ascolto è disporci infine a ricevere, perché a livello spirituale non vi è dualità tra la domanda e la sua soddisfazione. Tutto quello che è, è coscienza. Occorre fare lo sforzo di discendere nel silenzio dove ascoltare la voce del dolore, della separazione, del bisogno, del trauma, per cogliere il sentimento di devozione che lo anima, l’Amore che lo anima. La Madre è devozione, è apertura ad accogliere il sé, a generarlo e nutrirlo amorevolmente.
Perché questo mondo, cioè questa esperienza di vita, si faccia grembo e materno, occorre che in noi si apra lo spazio, il vuoto, il cavo, in cui il seme della rigenerazione possa essere versato nel fuoco sacrificale, che è la preghiera, la poesia devozionale, la profonda riflessione, infine silenziosa, in cui tutto traspare nella sua luce mistica, di relazione con il Divino, con una potenza che supera di gran lunga la nostra, e che ci pervade. Alla Madre possiamo dedicare lunghi discorsi, anche malsani, come i mistici Pagal, folli di amore; noi possiamo accettare tutto questo, l’irrazionale e il malsano, sotto la Sua benedizione, e aprire il cuore, aprire il sentimento, accettare questa immensa potenzialità vitale, viva, pulsante, che si apra per noi. Noi ci apriamo ad essa e lei si apre per noi. Da essa provengono le soluzioni, le competenze, la conoscenza e le possibilità creative e inusitate, che dobbiamo prendere a piene mani, perché prendere è restituire, guarire, rendere grazie. Navaratri è l’occasione che ogni anno la tradizione ci concede per intraprendere questo viaggio notturno nel profondo di noi stessi, per lasciare la nostra “testa” di capre sul ceppo sacrificale e inoltrarci nella caverna del Cuore, a incontrare la Sorgente e bere la sua Grazia. Quella Grazia ci appartiene, non è egoismo, non è un oggetto, è la nostra stessa potenza vitale e coscienza, la benedizione della Madre che fluisce ininterrotta per nutrire il corpo e lo spirito dello Yogi…

Jay MA!

Dal 26 settembre al 5 ottobre ci vediamo alle 21 su Zoom per cantare le lodi tradizionali della Madre e quindi ascoltare il profondo in meditazione.

Info: beatrice.udainath@gmail.com
Facebook / Messenger: Beatrice Udai Nath

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